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Voglio andare down under. Cioè, giù di sotto.
Anche se, a mio modesto parere, sarebbe più corretto dire upside down, cioè sottosopra.
Parliamo, ovviamente, dell’Australia.
Io e mia moglie ci siamo dati una scadenza per prendere quella che potrebbe essere la decisione più importante per il futuro.
Abbandonare tutto e tutti, amici, parenti, la casa dove sono cresciuti i nostri figli e il Paese dove siamo nati. Non è facile.
Ma a volte nella vita dobbiamo prendere delle decisioni scomode. Possiamo parlare chiaro senza scandalizzarci e senza timore di essere smentiti: in questo Paese non c’è più futuro.
Non ci è bastato toccare il fondo, abbiamo iniziato a scavare, e da parecchio tempo.
Nel dopoguerra sembrava che l’Italia potesse arrivare ad un ruolo di primo piano nel panorama europeo, il boom economico degli anni ’50 avrebbe dovuto creare una ricchezza diffusa e una classe dirigente adeguata. Invece no. Ci ha dato una illusione di potenza, creando i presupposti per il circolo vizioso che ci ha portati oggi, sessanta anni dopo, ai livelli di nazioni africane quanto a stabilità e crescita economica.
Cosa è andato storto? Vorrei qui fare una riflessione molto semplificata di come secondo me sono andate le cose.
L’aumento del benessere economico generale potrebbe essere stata la causa scatenante.
Chi sta bene tende spesso a fare il passo più lungo della gamba e le famiglie hanno innescato il meccanismo del debito, acquistando beni, spesso non necessari, facendo finanziamenti o comunque indebitandosi. Di riflesso questo ha aumentato esponenzialmente la presa delle banche sull’economia del paese. La classe dirigente ha pensato che dei cittadini che potevano permettersi acquisti di beni di quella portata avrebbero potuto e dovuto pagare tasse più elevate. I cittadini, che ormai erano abituati ad un determinato stile di vita, non hanno smesso di indebitarsi anzi hanno semmai aumentato i loro debiti nei confronti delle banche. Il copioso afflusso di denaro nelle casse dello Stato ha fatto credere ai governanti che, dopotutto, potevano permettersi di attingere a mani basse dal bilancio dello stato. Potete andare avanti a piacere per altri cinquant’anni in questa spirale di idiozia ed arriverete, solo per citare gli ultimi casi, a Maruccio e Fiorito.
Troppo semplicistico ed ingenuo? Probabile. Ma sembra verosimile.
Mia nonna diceva, parlando dei politici, che “il più pulito c’ha la rogna”.
Eppure non è difficile da capire. Winston Churchill, che non era un cretino qualsiasi, diceva che “Una nazione che si tassa sperando di diventare prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirandosi per il manico”.
Credo che non esista paragone più calzante per definire l’odierna situazione italica.
Veniamo da un governo di tassassini guidato da un “economista” che ha completato l’opera di distruzione della piccola e media impresa. Pensateci per un attimo, dopo gli anni ’50 e ’60 è stata tutta una parabola discendente.
E all’orizzonte non vedo prospettive di nuovi boom economici. Non ci sono più nicchie da riempire. Niente mi fa presagire che dopo cinquant’anni di caduta libera ci si possa rialzare.
Da qui la mia idea che il futuro non c’è più. Ce l’hanno rubato. Mi ci metto anche io e dovrebbero farlo tutti, in special modo chiunque abbia dei figli. Diciamolo come ad una riunione di alcolisti, alziamoci in piedi e diciamolo ad alta voce:

“ABBIAMO RUBATO IL FUTURO DEI NOSTRI FIGLI!”

Così, qualche tempo fa ho cominciato a ponderare l’idea di lasciare l’Italia. L’ho già detto, è dura. Ma dobbiamo porci una domanda fondamentale: cosa siamo disposti a barattare per far vivere ai nostri figli una vita degna di essere vissuta? A cosa siamo disposti a rinunciare? Nel mio caso,a tutto. Dopo avere valutato attentamente i pro e i contro di questa scelta mi sono reso conto che gli unici contro sarebbero la lontananza mia e di mia moglie dalle rispettive famiglie. Scelte, ancora una volta.
Come quella del paese dove trasferirsi, e l’Australia è il paese ideale.

E’ bello. Un ecosistema rimasto isolato per quasi 70 milioni di anni, con una fauna unica e bellezze naturali indescrivibili.
E’ democratico. Chi vive in Australia ha gli stessi diritti dei cittadini Australiani anche se ha solo un visto di lavoro non permanente.
E’ accogliente. Gli stranieri sono benvoluti in quanto considerati risorsa fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del paese.
E’ solido. In un’area estesa quanto il Nord America vivono circa 23 milioni di persone che non riescono a soddisfare l’ampia richiesta di lavoro. La parola disoccupazione è sconosciuta e gli stipendi sono elevatissimi.
E’ aperto. In Australia convivono persone di un numero altissimo di nazionalità diverse, attualmente il più alto al mondo.
E’ attento. Proprio per il prolungato isolamento l’Australia non può permettersi invasioni di insetti della frutta o virus sconosciuti, tipo l’afta epizootica e quindi i controlli sulle persone che arrivano sono accuratissimi. C’è una lista di cose che non si possono portare.
L’Australia è anche tante altre cose che non è necessario scrivere qui.

Fra poche ore apriranno i seggi per le elezioni.
Per quanto mi riguarda saranno lo spartiacque della mia vita, anche se non sono ottimista sul risultato.
Il Governo che uscirà da queste elezioni dovrà dare almeno un segnale di cambiamento entro il primo anno di vita, altrimenti sarò costretto a dire addio al mio Paese (quanto meno a provarci), e per quanto allettante è una prospettiva che un po’ mi spaventa.
Ma molto, molto meno che ritrovare al Governo le solite vecchie facce.

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Ad astra

Non trovo mai niente.
Conosco però un sacco di persone che, a sentirle, riescono sempre a trovare qualche cosa.
Un telefonino, 50 euro, documenti, computer, chiavi, tablet, gioielli, zaini, portafogli e tutto un bazar di cose che la gente, distrattamente, perde. Non entro nel merito del “cerco il proprietario o me lo tengo”. Non serve. Dopotutto siamo italiani.
Queste persone che vivono la loro vita a testa bassa si considerano fortunate perché trovano sempre qualcosa.
Io no. Ma non perché sono sfortunato.
Semplicemente, sono abituato a guardare in alto. Mi capita spesso di stare di notte all’aperto a guardare le stelle, vivere in campagna aiuta e lo faccio sin da bambino (consapevole che tra una cosa e l’altra non riuscirò mai a mettere via abbastanza soldi da comprare un telescopio con i controcosi per trasformare una semplice passione in un vero hobby) e più di una volta mi è capitato di inciampare come un fesso.
Ma più che un fatto del momento è una vera attitudine per me guardare oltre. Lo faccio sempre, anche di giorno non sto mai a guardarmi i piedi come tanti ma cerco di spaziare con lo sguardo spinto da una curiosità innata. A volte penso che se ci siamo evoluti così tanto è solo grazie alla curiosità. Ho letto una frase tempo fa, di solo due parole: “Question everything”.
Rispecchia esattamente il mio modo di pensare e di vivere. Se tutti al mondo la pensassero così sarebbe un mondo n volte migliore. Ma purtroppo c’è ancora gente che crede a un suo dio, all’oroscopo, alla profezia Maya, al santone che toglie il malocchio. Accettano supinamente qualsiasi cosa viene loro detta senza farsi il minimo scrupolo di chiedersi, quantomeno, se sia minimamente possibile verificare scientificamente questa cosa.
Una persona a me molto vicina, vedendo il genere di libri che leggo (Dawkins, Hawking, Russell, Schopenauer passando per Einstein, Hack ed altri), mi ha detto che non dovrei fidarmi ciecamente di un libro scritto da un uomo come me, che per definizione è fallibile. Il pensiero che libri come la bibbia siano stati anch’essi scritti da uomini ma tanti non abbiano nessun problema a fidarsene ciecamente non l’ha neanche sfiorata.
E’ una delle tante prove che le religioni sono il male di questo mondo. Vedere il grottesco teatrino delle cerimonie religiose mi disgusta profondamente. Vedere gente che va in chiesa tutte le domeniche a battersi il petto (e a confrontare i vestiti per ostentare quello più bello) e poi quando ti incontra per strada, cristianamente, neanche ti saluta, offende la mia intelligenza.
Mi consolo sapendo che i giovani non frequentano quasi più le chiese. A malapena fanno la comunione e solo perché “è la festa dei bambini”, e questa è una speranza per il futuro. Quasi nessuno si fa più prete per fortuna, e credo davvero che di qui a cinquant’anni il cristianesimo sarà un ricordo.
E questo solo grazie all’istruzione. Per altre religioni ci vorrà molto più tempo, perché nei paesi del terzo mondo o in medio oriente l’istruzione non è una priorità, ma alla fine scienza e progresso vinceranno.
E sarò ben felice di continuare a non trovare niente.

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