The Electric Co.

Non vorrei che questo piccolo blog diventasse una succursale di una qualsiasi associazione di consumatori, ma a volte succedono delle cose che vale la pena di far sapere a tutti, come è stato per gli addebiti di Tre per i falsi abbonamenti.

Nella fattispecie, oggi vorrei parlare di ACEA, società di proprietà del Comune di Roma (cosa che già di per sé non è una garanzia di solerzia e precisione) che allunga i suoi tentacoli su un po’ tutte quelle cose indispensabili per vivere in una società civile. Acqua, gas ed energia elettrica.

Partiamo dall’acqua. Sono DUE ANNI che invio regolarmente ogni due mesi circa un fax corredato da fotocopia del mio documento di identità con la richiesta di attivazione del RID bancario per non dover spendere due euro ad ogni bolletta che arriva. RID bancario, tengo a precisare, che ho attivato quando ho fatto il contratto, e che è stato annullato (DA ACEA) quando si sono migrati i RID nel sistema SEPA.
Attualmente, dopo ben due anni, ancora non è dato sapere perché questo RID non venga attivato. Ripetute chiamate al call center servono solo ad ascoltare operatori che a precisa domanda rispondono “Antani come trazione per due anche se fosse supercazzola bitumata, ha lo scappellamento a destra per via del tarapìa tapìoco”.
L’unica soluzione sarebbe di andare a perdere un giorno di vita e recarmi presso quella sorta di girone dantesco che è la sede ACEA di Piazzale Ostiense. Onestamente, preferirei il seppuku.

Ma se già questa situazione sembra assurda, aspettate di sentire cosa mi è capitato con il ramo energia di ACEA, dall’altisonante ed originale nome di AceaEnergia.

Ho ricevuto regolarmente le loro bollette di Luce&Gas fino ad Ottobre 2014 quando inspiegabilmente a Dicembre l’attesa bolletta per l’energia elettrica non mi viene recapitata. Non risulta nemmeno sul loro sito. Non è stata proprio emessa.
Aspetto qualche giorno, poi a Gennaio chiamo il loro call-center. Spiego la situazione e mi dicono che faranno un sollecito. Mi ritengo soddisfatto e la chiudo lì. A Marzo non si vedono ancora bollette. Richiamo e mi viene spiegato che si è bloccata la fatturazione. Bè, sblocchiamola, dico io. Mi dicono che se ne occuperanno loro e chiudiamo la chiamata. Siamo a Giugno e tutto tace. Richiamo. Ci sono problemi, posso per favore inviare la lettura del contatore? Certo che posso ma cazzo siamo nel 2015 ed il contatore potete leggerlo anche da remoto, siamo seri. Comunque lo faccio e mi dicono di attendere.
Io, per attendere, attendo, ma continuo a non ricevere bollette ed i KWh sul contatore continuano a correre. A Settembre (facciamogli fare almeno le ferie in pace, lavorano tanto poverini!) chiamo di nuovo. Ancora bloccato. Faranno il sollecito del sollecito e a breve risolveremo. Abbozziamo e tiriamo avanti. Siccome l’ho già tirata troppo per le lunghe facciamo che saltiamo a piedi pari altre due telefonate ed arriviamo a Giugno 2015, quando mi viene recapitata una bolletta di 1550€.

Non so voi ma io prendo poco di più di quella cifra ogni mese e per arrivarci lavoro sabati, domeniche, festivi e di notte. Quindi (indovinate) chiamo il call center e chiedo di rateizzare la bolletta. Nessun problema, mi dicono, ma devo aspettare che scada e poi richiamarli per la rateizzazione. La bolletta scade il 13 Luglio, il 28 o il 29 Luglio (non ricordo con precisione) li richiamo e mi danno le istruzioni: invia raccomandata a/r a Piazzale Ostiense con i dati della bolletta e ti arriva a casa il piano di rientro. Tutto bene me pare, no?

No. A fine Agosto parto per le ferie e questo fantomatico piano di rientro non è ancora arrivato. In compenso, però, mentre sono in vacanza, a casa mia arriva una raccomandata di preavviso di distacco dell’energia elettrica. Me la faccio inviare via fax e con quella davanti (ri)chiamo il call center. Siamo al 3 Settembre. L’operatrice mi dice che la richiesta di rateizzazione è arrivata, che è in lavorazione, che non era necessaria la raccomandata ma bastava un fax (e via altri 5 euro buttati) e mi garantisce che non ci sarà alcun distacco ma solleciterà l’invio del piano di rientro.

A metà settembre torno a Roma bello tranquillo e ricomincio il tran-tran quotidiano. Il 5 Ottobre mi staccano la corrente. Chiamo di nuovo i cerebrolesi di ACEA e mi dicono che “la rateizzazione è stata rifiutata IL 25 AGOSTO perché richiesta quando erano trascorsi più di dieci (10) giorni dalla scadenza della bolletta”. Se rivoglio la corrente devo pagare subito 1550€. Ora, l’ultima volta che ho guardato fuori non ho visto soldi crescere sui rami degli alberi, così mi sono rivolto all’unica persona che poteva aiutarmi, mio padre. Senza dire né a né ba ha fatto un bonifico dal suo conto (non naviga nell’oro) e pagato la bolletta, inviando la ricevuta ad ACEA, che il giorno dopo ha effettuato il riallaccio.

Di tutto questo che affermo, cara ACEA, ho documentazione scritta. Anche il numero dell’operatore con cui di volta in volta ho parlato.

Per fortuna, qui non siamo nella vigna dei coglioni. Mio padre ha 11KW e con 3 metri di cavo mi ha dato corrente per 24 ore. Ma cosa sarebbe successo ad un’altra persona? Pensate solo al cibo nel freezer. Pensate a chi vive collegato ad un macchinario o per entrare e uscire usa un montascale elettrico. A chi ha una delle nuove linee telefoniche VoIP e si ritrova ANCHE senza telefono. A chi ha bambini e/o anziani e non ha modo neanche di lavarsi perché le caldaie a gas usano comunque l’energia elettrica. Pensate a casa vostra, 24 ore senza corrente.

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere ma questi sono i fatti. Ora mi e vi chiedo le seguenti cose:

1. Perché a Giugno 2015 non mi è stato detto che dovevo chiamare per la rateizzazione entro un termine di tot giorni?

2. Perché il 28/29 Luglio non mi è stato subito detto che ero oltre i termini della richiesta anzi mi si è fatta spedire una raccomandata aggiungendo altri soldi alla spesa?

3. Perché il 3 Settembre non mi è stato subito detto che la mia richiesta era stata bocciata in modo da tutelarmi per tempo ed evitare il distacco?

4. Perché invece di RIDURRE la potenza al 15% del nominale (nel mio caso poco meno di 700W) come previsto dalle vigenti norme di legge si è provveduto al distacco totale lasciando una famiglia con due bambini nell’isolamento totale?

ma soprattutto mi chiedo:

5. Perché per un disguido causato da AceaEnergia stessa (il blocco della fatturazione) che anzi io mi sono prodigato per far risolvere, e per l’incompetenza dei loro operatori di call center, adesso mi toccherà pagare anche oltre 130€ di spese per distacco e riallaccio.

La verità è che viviamo in un paese senza regole certe e senza nessuna difesa. Non siamo in grado di tutelarci da questi sciacalli, siamo carne da macello ed a chi ci governa non frega niente di noi. Basta guardarli durante le sedute in parlamento. Si capisce che noi nella loro testa proprio non ci siamo, quello che conta è solo il proprio tornaconto. Sono davvero schifato di questa situazione, ho dubitato a lungo se scrivere o no questo articolo ma alla fine ho deciso che ne valeva la pena, magari qualcuno lo leggerà e trovandosi nella stessa situazione si comporterà diversamente. Dal canto mio, ho già fatto richiesta di passaggio ad altro fornitore per luce e gas, non voglio avere più niente a che fare con AceaEnergia, anche se mi toccherà tenermela per l’acqua visto che agisce in regime di monopolio e per questo si permette di fare quello che vuole sulle spalle degli utenti. Potendo, preferirei bere l’acqua del pozzo piuttosto che dare anche un solo euro a loro.

Alla prossima.

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Waiting for the worms

Ultimamente macino parecchi chilometri in bicicletta, praticamente tutti i giorni.
Quando le gambe girano per conto loro per la testa non c’è molto da fare e così guardandomi intorno vedo delle cose che mi portano a farmi delle domande.

Mi chiedo ad esempio perché si cerca di cementificare e costruire praticamente ogni spazio libero anche nella periferia ex agro romano in cui vivo, si fanno case che nessuno può comprare.

Ho gli occhi per guardare e solo nei 10 km tra Via Boccea e Via Cassia ci sono CENTINAIA di appartamenti ben progettati, ben costruiti, molto belli da vedere ma assolutamente e tristemente vuoti. E sono in questo stato da quasi cinque anni. Un paio di mesi fa qualche imbecille da centro sociale ha pensato che vista la grande disponibilità si poteva provare a prendersele gratis. Occupandole. Anzi, okkupandole!

Per fortuna per una volta le forze dell’ordine sono riuscite ad intervenire in tempo e la cosa si è risolta. Ma sto divagando come al solito visto che per quanto strano possa sembrare, la cosa più strana – colpo di scena – non è neanche che queste belle case non si vendano.

La cosa secondo me veramente assurda è che sotto queste case, al livello del piano stradale, ci siano in vendita (neanche in affitto) dei NEGOZI.

Capite? In tutta Italia i negozi chiudono ad un ritmo impressionante, anche quelli più grandi e specializzati, ma si buttano via soldi per costruirne di nuovi ed inutili. Inutili per più di un motivo, aggiungerei.

Primo, perché ce ne sono già tanti sfitti da tempo di quelli che hanno chiuso negli ultimi anni.
Secondo, perché non credo che qualcuno creda davvero che la crisi attuale si possa risolvere senza lacrime e sangue.
Terzo, perché anche a crisi finita ci saranno parecchie remore a rischiare di nuovo tutto per aprire una nuova attività. Ed i vecchi negozianti – lo dico per esperienza familiare – non saranno sicuramente della partita. Hanno già dato. Tanto. Troppo.

Purtroppo, o per fortuna a seconda dei punti di vista, molti non si sono ancora resi conto che l’Italia è un paese che sta morendo. I vecchi sono sfiniti e tanto per agevolare l’occupazione giovanile lavorano ancora a 66-68 anni. I giovani sono provati da anni di precariato, e con la disoccupazione giovanile al 40% non vedono l’ora di potersene andare.

Siamo troppo stupidi per capire quali sono le cose da fare per mitigare gli effetti devastanti della crisi.
Non posso, non voglio pensare che chi ci governa sappia cosa e come fare e non muova un dito per timore di scontentare questa o quella lobby, la chiesa, la Germania, l’Europa. Chi se ne FOTTE, dell’Europa, giusto? Prima gli Italiani.

Dopotutto, il governo è al servizio dei cittadini, non deve servirsi dei cittadini. Anche se l’impressione che si ha è proprio quest’ultima.

E allora dico io, se questo Paese (non si può dire “di merda”, c’è una sentenza di Cassazione. Ora è vietato anche dire la verità) deve morire facciamo in modo che l’agonia duri il meno possibile.

Vedrete che poi i vermi arriveranno.

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ɐıןɐɹʇsnɐ

Voglio andare down under. Cioè, giù di sotto.
Anche se, a mio modesto parere, sarebbe più corretto dire upside down, cioè sottosopra.
Parliamo, ovviamente, dell’Australia.
Io e mia moglie ci siamo dati una scadenza per prendere quella che potrebbe essere la decisione più importante per il futuro.
Abbandonare tutto e tutti, amici, parenti, la casa dove sono cresciuti i nostri figli e il Paese dove siamo nati. Non è facile.
Ma a volte nella vita dobbiamo prendere delle decisioni scomode. Possiamo parlare chiaro senza scandalizzarci e senza timore di essere smentiti: in questo Paese non c’è più futuro.
Non ci è bastato toccare il fondo, abbiamo iniziato a scavare, e da parecchio tempo.
Nel dopoguerra sembrava che l’Italia potesse arrivare ad un ruolo di primo piano nel panorama europeo, il boom economico degli anni ’50 avrebbe dovuto creare una ricchezza diffusa e una classe dirigente adeguata. Invece no. Ci ha dato una illusione di potenza, creando i presupposti per il circolo vizioso che ci ha portati oggi, sessanta anni dopo, ai livelli di nazioni africane quanto a stabilità e crescita economica.
Cosa è andato storto? Vorrei qui fare una riflessione molto semplificata di come secondo me sono andate le cose.
L’aumento del benessere economico generale potrebbe essere stata la causa scatenante.
Chi sta bene tende spesso a fare il passo più lungo della gamba e le famiglie hanno innescato il meccanismo del debito, acquistando beni, spesso non necessari, facendo finanziamenti o comunque indebitandosi. Di riflesso questo ha aumentato esponenzialmente la presa delle banche sull’economia del paese. La classe dirigente ha pensato che dei cittadini che potevano permettersi acquisti di beni di quella portata avrebbero potuto e dovuto pagare tasse più elevate. I cittadini, che ormai erano abituati ad un determinato stile di vita, non hanno smesso di indebitarsi anzi hanno semmai aumentato i loro debiti nei confronti delle banche. Il copioso afflusso di denaro nelle casse dello Stato ha fatto credere ai governanti che, dopotutto, potevano permettersi di attingere a mani basse dal bilancio dello stato. Potete andare avanti a piacere per altri cinquant’anni in questa spirale di idiozia ed arriverete, solo per citare gli ultimi casi, a Maruccio e Fiorito.
Troppo semplicistico ed ingenuo? Probabile. Ma sembra verosimile.
Mia nonna diceva, parlando dei politici, che “il più pulito c’ha la rogna”.
Eppure non è difficile da capire. Winston Churchill, che non era un cretino qualsiasi, diceva che “Una nazione che si tassa sperando di diventare prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirandosi per il manico”.
Credo che non esista paragone più calzante per definire l’odierna situazione italica.
Veniamo da un governo di tassassini guidato da un “economista” che ha completato l’opera di distruzione della piccola e media impresa. Pensateci per un attimo, dopo gli anni ’50 e ’60 è stata tutta una parabola discendente.
E all’orizzonte non vedo prospettive di nuovi boom economici. Non ci sono più nicchie da riempire. Niente mi fa presagire che dopo cinquant’anni di caduta libera ci si possa rialzare.
Da qui la mia idea che il futuro non c’è più. Ce l’hanno rubato. Mi ci metto anche io e dovrebbero farlo tutti, in special modo chiunque abbia dei figli. Diciamolo come ad una riunione di alcolisti, alziamoci in piedi e diciamolo ad alta voce:

“ABBIAMO RUBATO IL FUTURO DEI NOSTRI FIGLI!”

Così, qualche tempo fa ho cominciato a ponderare l’idea di lasciare l’Italia. L’ho già detto, è dura. Ma dobbiamo porci una domanda fondamentale: cosa siamo disposti a barattare per far vivere ai nostri figli una vita degna di essere vissuta? A cosa siamo disposti a rinunciare? Nel mio caso,a tutto. Dopo avere valutato attentamente i pro e i contro di questa scelta mi sono reso conto che gli unici contro sarebbero la lontananza mia e di mia moglie dalle rispettive famiglie. Scelte, ancora una volta.
Come quella del paese dove trasferirsi, e l’Australia è il paese ideale.

E’ bello. Un ecosistema rimasto isolato per quasi 70 milioni di anni, con una fauna unica e bellezze naturali indescrivibili.
E’ democratico. Chi vive in Australia ha gli stessi diritti dei cittadini Australiani anche se ha solo un visto di lavoro non permanente.
E’ accogliente. Gli stranieri sono benvoluti in quanto considerati risorsa fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del paese.
E’ solido. In un’area estesa quanto il Nord America vivono circa 23 milioni di persone che non riescono a soddisfare l’ampia richiesta di lavoro. La parola disoccupazione è sconosciuta e gli stipendi sono elevatissimi.
E’ aperto. In Australia convivono persone di un numero altissimo di nazionalità diverse, attualmente il più alto al mondo.
E’ attento. Proprio per il prolungato isolamento l’Australia non può permettersi invasioni di insetti della frutta o virus sconosciuti, tipo l’afta epizootica e quindi i controlli sulle persone che arrivano sono accuratissimi. C’è una lista di cose che non si possono portare.
L’Australia è anche tante altre cose che non è necessario scrivere qui.

Fra poche ore apriranno i seggi per le elezioni.
Per quanto mi riguarda saranno lo spartiacque della mia vita, anche se non sono ottimista sul risultato.
Il Governo che uscirà da queste elezioni dovrà dare almeno un segnale di cambiamento entro il primo anno di vita, altrimenti sarò costretto a dire addio al mio Paese (quanto meno a provarci), e per quanto allettante è una prospettiva che un po’ mi spaventa.
Ma molto, molto meno che ritrovare al Governo le solite vecchie facce.

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I Tagliani

L’ultima volta che ho guardato fuori non ho visto palme ed una giungla lussureggiante ma ormai l’impressione, mia personale ma anche di molti miei amici e conoscenti, è che l’Italia sia diventata una sorta di Repubblica delle Banane.

Siamo ormai da un anno governati da un gruppo di banchieri che non pago di aver causato una crisi colossale su scala globale ha pensato bene di risolverla aumentando le tasse ai cittadini.

Sorvoliamo sulla suprema intelligenza di chi ha scelto, per risolvere la crisi, proprio quelli che l’hanno causata, ma tant’è, ci sono e tocca tenerseli. Cercano la crescita, ma anche un bambino sa che come in una scatola di giocattoli non puoi metterne all’infinito, su un pianeta finito la crescita non può essere infinita, specie con un sistema economico mondiale basato sul debito come quello attuale.

Allo stesso tempo, non vedo neanche l’utilità di “salvare” un Paese lasciando i cittadini in povertà. Anche i governi degli stati africani vendono diamanti e petrolio, i politici sono ricchi e le casse dello stato piene, ma i loro abitanti muoiono di fame e vivono nelle baracche. La verità è che viviamo in una dittatura di fatto, e la colpa è solo nostra. Noi siamo, sostanzialmente, pecore. Accettiamo supinamente qualsiasi decisione venga dall’alto senza farci tante domande, a parte pochi eletti che sono abituati a pensare e ragionare su quello che ascoltano.

Noi non scendiamo in piazza, come i greci e gli spagnoli, per dimostrare contro chi ci governa, per dirgli “ora basta”, no; noi facciamo le file per comprare l’ultimo modello di smartphone, magari facendo le rate e continuando ad alimentare il circolo vizioso del debito.

Viene spontaneo chiedersi fin quando tutto questo potrà andare avanti.

E’ notizia di oggi che l’ex General Advisor di Goldman&Sachs Mario Monti ha intenzione di dimettersi, ma ciò non prima di causare qualche altro danno approvando una Legge di Stabilità che infliggerà altre sofferenze al già troppo provato popolo italiano.

Credo che per uscire dalla crisi economica le soluzioni vadano trovate, per cominciare, altrove.

Quello che ci manca come popolo, in particolar modo oggi, è il senso di appartenenza. Ammettiamolo, nessuno di noi si sente fino in fondo Italiano. Siamo tutti lombardi, toscani, laziali, calabresi, siciliani; perché secondo voi?

Mi sono reso conto che altre nazioni europee che sono state divise per secoli al loro interno, si sono unificate proprio grazie ai popoli, al fatto che si sentivano intimamente tutti francesi, o tutti tedeschi.

Insomma, sono nati prima i francesi e poi la Francia. Prima i tedeschi e poi la Germania.

Se ci pensate, da noi è successo esattamente l’opposto, menti illuminate (non sono ironico) hanno creduto che fosse ora di creare l’Italia. Prima di creare gli italiani. Non l’abbiamo chiesto noi. Non siamo mai stati chiamati direttamente a partecipare all’Unità. E probabilmente da questo vengono le derive scissionistiche di partiti come la Lega Nord. Ironicamente, anche allora non siamo scesi in piazza; dopotutto c’è qualcosa che ci accomuna ancora oggi.

Da un giorno all’altro ci hanno detto “Ora siete tutti Italiani”. Ma non era semplice allora. Evidentemente non lo è neanche ora.

Il secondo problema che ha il Paese è la mancanza di sovranità. Siamo schiavi di un’Europa che abbiamo inventato noi, di organismi sovranazionali che pretendono di dettare le regole al posto nostro. Di gente che nessuno ha votato, ma che è stata nominata arbitrariamente che vuole imporci dei limiti. Perché un allevatore italiano deve sottostare alle quote latte imposte dall’Europa? Qui si vende il latte italiano, quello tedesco e quello francese lo lasciamo a loro. Ci hanno imposto la loro moneta e ne subiamo ancora le conseguenze.

Siamo anche succubi della chiesa cattolica, e questo lo dico a prescindere dal mio ateismo. Ogni decisione che viene presa deve avere l’imprimatur di quel coglione ingioiellato vestito di bianco, che predica a ME la povertà quando vendendo l’oro che indossa si potrebbe sfamare una piccola nazione africana.

Io non ho bisogno dell’Europa. Non ho bisogno della chiesa. Ho bisogno di vivere in un Paese civile e democratico nel quale vengono rispettati i diritti prima di tutto degli Italiani, tutti gli altri vengono dopo.

Fra poco, si spera, finirà questa disgraziata legislatura e si tornerà al voto, e si riproporrà per milioni di cittadini il solito dilemma di sempre: chi votare?

Ammetto che me lo chiedevo anche io, ma questa volta ho fatto un ragionamento inverso: chi sicuramente NON voterò?

Allora, di certo non posso votare nessuno schieramento che, più o meno apertamente, abbia sostenuto con i suoi voti in parlamento questo governo di tassassini. Quindi no PDL, no PD, meno che mai Fini o Casini. Di comici e giullari a palazzo ce ne sono già tanti quindi Grillo è escluso. Allo stesso tempo mi piacerebbe votare qualcuno che sappia riconoscere un congiuntivo quando ne vede uno, ergo il signor Di Pietro non posso votarlo.

Però, però però però.

Non è un mistero che io sia sempre stato di destra. La destra vera, sociale, che fa politica con passione ed ancora ha dei valori morali saldi, non quella di Fini o dei suoi colonnelli, neanche quella di Gasparri o La Russa. Negli ultimi anni c’è un solo partito che ha sempre portato avanti quelle che sono anche le mie battaglie, anzi LA battaglia, la buona battaglia, quella per il Paese.

E’ un partito che non sta in parlamento. Per scelta. Per non abbassarsi al berlusconismo, per non omologarsi. E’ La Destra di Francesco Storace. Se volete, andate a leggere il “Manifesto della Sovranità” sul suo sito internet. E’ una cosa in cui possono riconoscersi tutti, anche chi di destra non è mai stato.

Leggetelo, ditemi cosa ne pensate; fategli, se potete, qualche obiezione.

E riflettete seriamente se quelle che leggete sono le stesse cose che volete anche voi. Nel mio caso è stato così, ed io ho trovato il mio candidato.

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