Oggi vorrei raccontarvi una storia.
Una delle mie solite storie, nelle quali mi lamento sempre di quelli che mi stanno intorno.
E’ una cosa personale ma è tanto che ce l’ho dentro e quando ho delle cose da dire da tanto tempo va a finire che i ricordi sbiadiscono e si diluiscono nel tempo e allora ho deciso di affidarli a questo post.
Vi avviso sin da subito: è noioso. Non lo leggete.

Fino a poco più di un anno fa avevo un Amico.
Ci vedevamo poco ma ci sentivamo quasi tutti i giorni per telefono, email, twitter o in chat.
Avete presente una di quelle persone delle quali ci si ricorda da vecchi, per via delle cose condivise, molte serie ma anche parecchie cazzate?
Ecco, uno così.
E se uno dei due aveva bisogno di un consiglio, un favore, un aiuto l’altro era sempre disponibile.

Fino, appunto, ad un anno fa, quando mi chiama e mi chiede se posso comprargli a Roma una cosa che non riusciva a trovare vicino casa sua. Il giorno dopo (mi pare) riesco ad andarci e prendo questa cosa, lo chiamo e ci diamo appuntamento al lavoro da me per ritirarla.

Come si fa tra amici, ovviamente, appena si presenta gli consegno la famosa cosa e andiamo subito a prendere un caffè che ci sta sempre bene, ma uscendo, nei 20 metri che separano la porta del bar da quella del mio ufficio, vedo una cosa che mi fa incazzare: un punteruolo rosso che mi svolazza lento e pesante davanti alla faccia, a portata di mano.

Qui voglio dire che i bastardelli mi hanno ucciso tutte le cinque palme che avevo in giardino, tra le quali una di quasi 30 anni. Va da sé che allungo la mano e lo schiaffeggio per farlo cadere e poi schiacciarlo ma il mio amico si risente di questa cosa, forse disturbato dal mio accanimento nel cercare lo schifoso insetto nel cespuglietto nel quale si era rintanato.

Pochi secondi, forse dieci, di ricerca poi lascio stare e torno in ufficio dove mi accorgo con sorpresa che il mio amico era andato via. Faccio appena in tempo a guardare fuori dalla finestra per vedere la macchina che esce dal parcheggio. Non posso non notare che mi sembra un comportamento un po’ fuori dal normale (specie se a scatenarlo è stato uno schiaffo a un insetto peraltro sopravvissuto contrariamente alle mie palme) ma vabbè.

Lì per lì mi risento un pochino, poi mi rendo conto che siamo tutti diversi e che magari quel giorno aveva i cazzi suoi cui pensare ed è stata solo una reazione impulsiva.

Chi mi conosce bene sa che ho l’indole del cazzeggio, quindi appena tornato a casa cambio la mia foto del profilo di twitter con quella di un punteruolo rosso a mo’ di provocazione, per vedere la sua reazione. Che non c’è stata. I rapporti sono quindi proseguiti leggermente raffreddati per qualche mese finché noto un suo tweet che recita pressapoco “certa gente scrive solo cazzate e io sono stanco di leggerle”. Ok, magari non erano le parole precise ma giuro che il senso era quello. Contestualmente noto che il mio amico non mi seguiva più su Twitter ergo il suo tweet era riferito a me.

Uno dei miei ultimi tweet era dedicato al dittatore del Venezuela, Chavez, e gli augurava una morte lenta e dolorosa grazie al cancro che l’aveva colpito. Non so voi ma ho una predilezione particolare nel vedere morti prima possibile i figli di mignotta che devastano l’ambiente e tiranneggiano i loro paesi per arricchirsi (anche voi, lo so, solo che quasi tutti state attenti a non farlo sapere in pubblico).

Comunque, visto che non voleva più seguirmi e non era giusto che io continuassi a seguire lui, anche io (forse sbagliando) ho smesso di seguirlo.

A giugno, come l’araba fenice, il mio amico risorge dalle sue proprie ceneri e mi manda un SMS per farmi gli auguri per il compleanno. Nel giorno sbagliato. Pessima mossa per far capire a qualcuno che lo stai ancora pensando. Mi dico “vabbè si sarà sbagliato, vedrai che domani lo rimanda”. Dopo due giorni, mi arriva un altro SMS di tono lievemente (per usare un eufemismo) alterato nel quale mi accusa di non cagarlo più o di avere cancellato il suo numero (!) e che sarebbe stato l’ultimo messaggio a me della sua vita. Devo dire che finora è stato coerente.

E quindi eccomi qui. Ho dato uno schiaffo a un coleottero e augurato la morte a uno stronzo e mi ritrovo senza un Amico (che ad essere onesti mi manca un bel po’) che non aveva alcun tipo di connessione con nessuno dei due. Non voglio trarre conclusioni da questa storia perché potrebbero essere antipatiche per ciascuno dei due.

Ah, a proposito, Chavez è ancora vivo (almeno sulla morte lenta ci ho preso) ed il coleottero vive al massimo tre mesi, il tempo di generarne altre migliaia quindi almeno lui è schiantato portandosi però appresso qualche altra palma del genere canariensis che tra poco sarà estinta.

Ve l’avevo detto sin dal principio che sarebbe stato noioso, in fondo è solo gossip di bassa lega. Ma se hai letto tutto e sei arrivato fino qui non c’è nient’altro che devo dirti se non augurarti un buon 2013, Andrea.

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One thought on “Di amici, coleotteri e dittatori sudamericani”

  1. Se vuoi pubblicala. O tienila per te. O buttala perché non sono mai bravo a trovare le parole giuste quando ne ho bisogno:

    Di vita, orgoglio e buoni propositi

    Questa non è la mia solita storia. È noiosa, naturalmente, perché è come se l’avessi scritta io. Ma ipotizziamo per un attimo che sia opera di qualcun altro.

    Tutti noi abbiamo amici catalogati secondo vari livelli. C’è quello con cui sei cresciuto, con cui hai condiviso le prime esperienze e le prime cazzate. C’è quello che conosci di riflesso, perché amico di altri amici; che incontri ogni tanto, magari ci passi qualche giorno insieme in vacanza e finisce lì, fino al prossimo incontro fortuito. C’è l’amico virtuale, che hai conosciuto su Internet con cui ti ci trovi benissimo, ti confidi, e magari non hai mai visto di persona.

    Poi ci sono quelli che incontri per caso, magari a causa di una vecchia passione ormai svanita, che magari è talmente diverso da te che forse all’inizio ti sta pure un po’ sulle palle. Ma che in qualche modo rispetti da subito, anche se non sai bene il perché. Il tempo ti darà ragione.
    Una persona che piano piano ti aiuta a vedere molte cose con occhi e sotto prospettive diverse, fino a ritrovarti a vedere una cosa, che prima era rossa, blu. E ti domandi come diavolo faceva prima ad essere rossa perché è ovvio che è sempre stata blu. Tu. Tu che ragioni in binario, 0 o 1, e nessuno ti fa cambiare idea. Anche perché sai di avere tanti difetti, ma generalmente non sbagli sulle cose. Generalmente.

    Poi, inaspettatamente, in una splendida giornata di sole succede l’inaspettato. Ti ritrovi dopo dieci minuti a guidare verso casa con la testa ovattata, in una trance semi cosciente tra il surreale e la sensazione da terza birra, quella che ti fa stare da Dio ma che sai chiederà pegno il mattino dopo.
    Sai che si è rotto qualcosa, sai che hai varcato la linea perché ci sono cose che automaticamente cambiano tutto e, anche se torni indietro, non puoi cancellarne gli effetti.

    Ti dici ok, resetta tutto, fai passare qualche giorno, settimana, mese. Prenditela comoda non c’è fretta. E io sono bravo a fare le cose senza fretta. Sono una bestia, chiudo una porta ermetica e il mondo fuori può anche finire, non me ne frega niente.
    L’ho fatto tante volte, purtroppo ho un’autostima sufficientemente elevata da pensare che buona parte di chi mi circonda sia un imbecille. E, siccome non mi piace circondarmi di imbecilli, li taglio fuori. In modo secco, non c’è bisogno di essere delicati, mi hai rotto il cazzo, ciao.

    Il fatto è che non tutte le persone sono imbecilli, certe persone sono fottutamente in gamba. E devi a loro tante di quelle cose tra favori, consigli, decisioni, ricordi che non puoi chiuderla lì, perché sai che il vuoto che rimarrebbe sarebbe incolmabile. Naturalmente vivi lo stesso, anche dopo le delusioni d’amore più devastanti ti rialzi, ma una cosa bella dell’essere adulti è che puoi scegliere e io ho scelto di non volere quel buco nella mia vita.

    Così, ogni tanto (che tradotto nell’italiano delle persone comuni significava “ogni 2-3 mesi”), mandavo un messaggino con una minchiata. Magari volutamente neutro, ma comunque ironico. Niente, nessuna risposta. Aspetto il compleanno, o quello che ritenevo tale, o forse ho fatto confusione perché c’ho un’età, e mando gli auguri. Nessuna risposta. Ecco, l’ho fatta grossa, si è incazzato davvero, caratterino niente male pure lui, è finita.
    Colpo di coda, SMS finale d’effetto che, se non lo smuove questo non lo smuove più niente. Niente, è uno con le palle però, mica come me che ancora tentenno. Ok, incassiamo, voltiamo pagina, però che groppo alla gola!

    Passano i mesi, più di un anno da quella splendida giornata di sole. Arriva la notte di capodanno e si fanno i propositi per il prossimo anno e il bilancio di quelli passati. Sono stanco di piangermi addosso, di dare la colpa alla crisi perché la mia vita non è come vorrei. Basta, quest’anno cambio tutto, riallaccio i rapporti con le persone a cui tengo, sbatto fuori quelle inutili, e cercherò di essere felice. Al diavolo l’orgoglio, che mi ha sempre causato solo guai.
    Sono fuori casa, quando torno faccio un nuovo tentativo, e gli spiego perché quel giorno ho reagito in quel modo. Perché, ok che sono pazzo, impulsivo, mi sale subito il sangue alla testa ma solitamente, se mi comporto in un determinato modo, un motivo c’è.

    E scopro che non ho neppure fatto io il primo passo. Chiamiamola coincidenza, chiamiamola telepatia, chiamiamola come cazzo vogliamo. Non so se le cose torneranno com’erano prima, io dico di sì, ma chissà. Quel che è certo è che questo 2013 è appena cominciato, e già ho ricevuto il più bel regalo che avrei potuto chiedere. Grazie,
    Andrea

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