Il mio canto libero
Da quando ho un PC, ed esattamente dall’epoca delle CPU Intel 8088 a 4.77 MHz, ho sempre utilizzato dei sistemi operativi chiusi e proprietari: MS-DOS all’inizio, passando per tutte le versioni di Windows, con un breve intermezzo a suo tempo con OS/2, e poi MacOS, sia su Macintosh che su PC. Quindi ho sviluppato una buona esperienza e conoscenza che mi permette da molti anni di svolgere a tempo perso attività di assistenza tecnica su praticamente qualsiasi sistema operativo e di riconoscerne “dall’interno” pregi e difetti.
Da qualche anno, però, ho preso una decisione che per molti può sembrare radicale: utilizzare esclusivamente software libero. Non è stata una scelta improvvisa, né dettata da una moda passeggera. E’ il risultato di un percorso fatto di riflessioni, tentativi, qualche frustrazione e molte scoperte entusiasmanti.
Il primo motivo è etico. Ogni volta che accendo un computer o uso un programma sto affidando un pezzetto della mia vita a quel software: i miei testi, le mie foto, i miei dati personali. Con il software libero ho la garanzia che il codice sia aperto e verificabile, che non ci siano pratiche occulte di sorveglianza o restrizioni arbitrarie. E’ una forma di rispetto reciproco: io posso usare il programma liberamente e in cambio chi lo sviluppa non mi impone catene invisibili.
Il secondo motivo è pratico. Col tempo ho capito che la flessibilità e la trasparenza del software libero non sono un lusso, ma un vantaggio concreto. Posso adattare gli strumenti alle mie esigenze, trovare alternative leggere quando il mio computer non è all’ultima moda, e soprattutto posso contare su una comunità di persone disposte ad aiutare e condividere conoscenza. Non è la solita assistenza impersonale: è un dialogo tra esseri umani mossi dalla stessa passione.
C’è poi la questione culturale. Scegliere software libero significa entrare in una logica di condivisione e collaborazione che va oltre lo strumento tecnologico. E’ un ottimo modo per dire: credo che il sapere debba essere accessibile, che la creatività cresca meglio se coltivata in comune. Non è un dettaglio, è un pezzo importante di come immagino il mondo.
Naturalmente, questa scelta non è priva di compromessi. Per ovvi motivi, ho deciso di escludere i videogiochi da questa regola. Non perché non apprezzi i progetti di gaming open source – ce ne sono di affascinanti e ben fatti – ma perché il panorama videoludico mainstream è dominato da produzioni proprietarie. Se volessi applicare la stessa rigidità anche al gioco, significherebbe rinunciare a esperienze artistiche, narrative e culturali che da sempre fanno parte della mia vita. I videogiochi sono, in fondo, un medium espressivo a sé, e preferisco considerarli un’eccezione, un terreno dove la regola del software libero non trova ancora sufficiente terreno fertile.
Così mi muovo in questa nuova quotidianità: lavoro, scrittura, navigazione e creatività sorretti da strumenti liberi, e un angolo riservato al gioco che resta ancorato al mondo proprietario. E’ un equilibrio imperfetto, certo, ma umano. Un compromesso che non indebolisce la scelta di fondo: la convinzione che la libertà digitale non sia un’astrazione, ma qualcosa che si può vivere, un clic dopo l’altro.