Quando sarà pubblicato questo post sarò sotto i ferri, e come in tutte le cose della vita c’è la remota possibilità che qualcosa possa andare storto. Certo, ci sono modi peggiori di andarsene che addormentarsi con l’anestesia e non accorgersi di nulla. Ma cosa accadrebbe dopo?
A volte mi capita di chiedermi per cosa vorrei essere ricordato. È una domanda che arriva all’improvviso, nei momenti più quieti — mentre guardo il cielo cambiare colore, o quando la casa è silenziosa e ogni pensiero trova spazio per farsi sentire. Non è una domanda allegra, ma è una di quelle che ti costringe a guardare la vita da fuori, come se per un attimo la vedessi tutta intera.
Per molto tempo ho pensato che lasciare un segno volesse dire fare qualcosa di grande. Scrivere un libro che resista al tempo, costruire qualcosa di utile, lasciare un’eredità che parli di me anche quando non ci sarò più. E’ l’illusione del permanere: credere che solo ciò che si vede o si misura possa restare.
Poi, col tempo, mi sono accorto che le persone che porto davvero dentro non sono quelle famose o straordinarie. Sono quelle che mi hanno toccato la vita in modo semplice e vero. Quelle che hanno saputo essere presenti, ascoltare, dare qualcosa di sé senza voler cambiare il mondo, ma cambiando il mio piccolo mondo.
E allora ho iniziato a chiedermi se il senso del ricordo non sia proprio questo: non essere ricordati da tutti, ma da qualcuno, in modo autentico. Non per ciò che abbiamo realizzato, ma per ciò che abbiamo amato.
Se devo essere sincero, oggi credo che l’unico ricordo che mi importi davvero sia quello che resterà negli occhi dei miei figli. Non se penseranno che sono stato una persona di successo, o se parleranno di me con orgoglio agli altri. Mi basterebbe sapere che, quando penseranno a me, sentiranno qualcosa di buono. Che ricorderanno una risata condivisa, una carezza, un consiglio dato con calma, o solo la certezza di essere stati amati senza condizioni.
Tutto il resto — il lavoro, i progetti, le parole scritte — sono ombre che cambiano forma col tempo. Ma il modo in cui un padre resta dentro il cuore di un figlio non cambia. E’ lì che, se siamo fortunati, sopravviviamo davvero.
Forse è proprio questo il mio desiderio più semplice e più profondo: non essere ricordato come qualcuno di importante, ma come qualcuno che ha amato. E se un giorno, anche solo per un momento, uno dei miei figli penserà di me: “è stato un buon padre”, allora potrò dire di aver lasciato la mia traccia nel mondo.