Negli ultimi tre giorni ho ricevuto tante domande, tramite davvero tutti i mezzi possibili escluso il piccione viaggiatore, spesso sottovoce, altre volte con curiosità sincera: “Perché hai deciso di sottoporti a questo intervento?”
Non è una domanda facile, ma credo che valga la pena rispondere con sincerità. Scrivo questo post per chi mi conosce e per chi magari sta vivendo la stessa battaglia silenziosa con il proprio corpo, la salute o l’autostima. Questa è la mia storia, raccontata senza filtri, così com’è.
Non so esattamente quando ho capito che qualcosa doveva cambiare davvero. Forse non è stato un momento preciso, ma una serie di piccoli episodi — un respiro corto dopo una rampa di scale, una foto che non riuscivo più a riconoscere come “me”, la sensazione di vivere dentro un corpo che non sentivo più mio. E, lo ammetto, anche la malcelata – non saprei come definirla: pena? Compassione? Pietà? – che notavo negli occhi di chi mi stava accanto, senza specificare ulteriormente, perché non è questo il tempo o il modo.
Per anni ho provato di tutto: diete, lunghe camminate, rinunce, promesse fatte davanti allo specchio e poi infrante alla prima ricaduta. Ogni volta che fallivo, sentivo crescere dentro di me un senso di colpa che pesava più dei chili stessi. Mi dicevo che dovevo solo avere più forza di volontà, come se la forza fosse una riserva infinita da cui attingere a comando. Non lo è.
Col tempo ho iniziato a capire che non bastava voler cambiare: dovevo accettare di farmi aiutare. È una cosa che non dicono spesso, ma ammettere di aver bisogno di aiuto è un atto di coraggio. Il giorno in cui ho deciso di informarmi seriamente sul bypass gastrico (OAGB per gli addetti ai lavori) è stato il giorno in cui ho scelto di non arrendermi.
Non è stata una decisione impulsiva. Ho avuto paura — tanta. Paura dell’intervento, delle conseguenze, del giudizio degli altri, ma soprattutto della possibilità di fallire di nuovo. Eppure, dentro quella paura, ho sentito anche qualcosa di nuovo: la speranza. Non una speranza ingenua, ma quella lucida, che nasce quando capisci che stai finalmente riprendendo la TUA vita nelle TUE mani.
So che questo intervento non è una soluzione magica. Non risolve i problemi con un colpo di bisturi. Non è nemmeno definitivo, perché è sufficiente ricominciare a mangiare ogni giorno qualcosa in più o semplicemente bere continuamente acqua gassata per far tornare lo stomaco alle dimensioni precedenti e tornare quindi a prendere peso. Ma può essere un nuovo inizio, uno strumento per rimettermi in equilibrio, per imparare a conoscere il mio corpo e rispettarlo. Voglio smettere di sentirmi prigioniero e cominciare a sentirmi presente.
Mi conosco fin troppo bene: sono abitudinario, parafrasando Elio. Mangio tanto perché sono abituato a mangiare tanto, anche se fino a trent’anni fa non era così. Quando decidevo di mettermi a dieta avevo sempre la possibilità di sgarrare, dopo l’intervento non potrò farlo e sono certo che abituandomi di nuovo a mangiare poco riuscirò a mantenermi in forma.
Ma le mie aspettative per il futuro non hanno a che fare solo con la bilancia, ma con la libertà. Voglio alzarmi al mattino e sentire leggerezza, non solo nel corpo, ma nella mente. Voglio potermi guardare allo specchio senza giudizio, con un po’ di tenerezza, con il rispetto che si deve a chi ha lottato tanto.
Questa volta non sto cercando di diventare qualcun altro. Sto solo provando a tornare da me.
Questo è il primo passo di un percorso che voglio condividere. Non per insegnare nulla a nessuno, ma per ricordarmi — e forse ricordarci — che cambiare è possibile, anche quando sembra troppo tardi.
Scrivere di questo mi spaventa e mi libera allo stesso tempo. Ma se anche solo una persona, leggendo, si sentirà meno sola nella propria battaglia, allora ne sarà valsa la pena.