Ci siamo.
E’ una giornata diversa da tutte le altre. L’ultima prima dell’intervento. C’è un silenzio che sembra più pesante del solito, quasi come se la casa stessa stesse trattenendo il fiato insieme a me. Ho provato a guardare un film, a leggere, a giocare con la console, a distrarmi in qualche modo, ma niente funziona: la testa torna sempre lì, a domani.
Ho paura. Una paura che non è fatta solo di pensieri razionali, ma anche di immagini improvvise che mi attraversano. Il letto d’ospedale, le luci fredde della sala operatoria, i volti coperti delle persone attorno a me. Sento già il cuore accelerare solo a immaginarlo. Ho paura di chiudere gli occhi e non riaprirli, paura di non avere più il controllo, paura di quel momento in cui dovrò affidarmi completamente ad altri.
Eppure, accanto alla paura, c’è la speranza. Una speranza che mi sorprende, perché nonostante i dubbi non riesco a soffocarla. Spero che questo intervento sia un nuovo inizio. Spero di poter tornare a fare cose che da tempo evito, di non sentirmi più limitato, di avere finalmente un corpo che non mi trascini sempre verso il basso. Mi piace pensare che fra qualche mese riuscirò a camminare con più leggerezza, magari anche a ridere senza quel peso che porto da tanti, troppi anni.
Poi ci sono i dubbi, quelli più difficili da scacciare. E se non fosse la scelta giusta? E se non funzionasse come spero? A volte mi sembra di giocare una partita a carte coperte con la vita: so che devo farlo, che non ci sono molte alternative, ma la certezza non ce l’ho. E questa incertezza mi punge ogni volta che provo a immaginare il futuro.
Nonostante tutto, sento anche gratitudine. Non lo avrei detto, ma c’è. Sono grato ai medici che domani si prenderanno cura di me, con la loro professionalità che a volte sembra quasi fredda, ma che in realtà è ciò che mi permetterà di affrontare questa sfida. Sono grato a chi mi sta accanto, a quelli che mi hanno ascoltato senza giudicare le mie paure, a chi mi ha stretto la mano anche senza parole. E sono grato anche a me stesso: non è facile ammettere di avere paura, non è facile affrontarla, eppure eccomi qui, a scriverne.
La notte, poi, sarà lunga. Forse dormirò poco, forse niente. Forse mi girerò nel letto contando le ore, ascoltando ogni minimo rumore. Ma domani, quando sarà il momento, mi alzerò e andrò. E so che, nel momento in cui mi affiderò a chi sa cosa fare, dovrò lasciare andare ogni resistenza.
Domani mi aspetta un passaggio importante, e io, nel mio piccolo, cercherò di viverlo con la stessa dignità con cui affronterò questa notte di attesa.
Domani non sarò invincibile, non sarò forte nel senso che spesso si intende. Sarò umano, fragile, nudo davanti all’ignoto. E sono certo che in questa fragilità c’è il seme più autentico del coraggio.
E ai pochi che leggeranno queste parole, dico solo questo: non abbiate paura di avere paura. Non vergognatevi di tremare, di dubitare, di sentirvi piccoli. Perché è proprio lì, in quell’intimo spazio di fragilità, che può nascere la speranza. Ed è da lì che, un passo dopo l’altro, si ricomincia a vivere.