Finalmente vivo

Oggi sono tornato a suonare in gruppo dopo quasi 3 mesi.
Devo dire che nonostante fossimo soltanto in 4 (su 7) mi sono divertito come il primo giorno, anche se dover cantare E suonare mi stressa tantissimo.
Sono una di quelle persone che se deve fare le due cose separatamente ci riesce abbastanza dignitosamente, a farle insieme non faccio bene nessuna delle due.
In ogni caso preferisco suonare che cantare, e probabilmente anche chi ascolta preferisce sentirmi soltanto suonare… 🙂
In ogni caso, una band ai minimi termini per me è il massimo, è tutto molto più dettagliato, e ovviamente anche gli errori si sentono di più quindi è più difficile.
Avere la sala prove “di proprietà” è tutta un’altra cosa rispetto ad andare a provare in altri posti, e magari nemmeno sempre gli stessi.
Non solo perché lasci gli strumenti sul posto e ti eviti un trasloco ogni volta ma perché suonare con il tuo amplificatore ti permette, almeno a me che sono un bassista, di avere sempre QUEL suono, che in sala prove devi sempre ricercare visto che chi viene prima di te ha regolato l’amplificatore in base al suo gusto, e perdi tempo, e magari una volta cambi sala o trovi un ampli diverso, insomma è un casino.
Comunque, se vi capita di andare in giro e vedere il nostro logo su qualche locandina fermatevi qualche minuto ad ascoltarci, ma munitevi di pomodori, uova e frutta marcia!

La scelta

Nella vita, spesso, si commettono degli errori.

Chi può dire di non aver mai sbagliato?

Il problema è quando l’errore avviene per una scelta consapevole fatta quando hai già in testa quel campanello di allarme che suona per avvisarti che stai per fare una minchiata.

Ma siccome sei orgoglioso (e non poco) decidi coscientemente di non ascoltarlo e vai avanti nel tuo proposito.

Mi è successo più di una volta ma mai come nell’ultima le conseguenze di quella scelta sono state scellerate. Parlo, ovviamente, di quando ho deciso di lasciare il gruppo nel quale suonavo.

Per essere onesti la scelta in sé era giusta: non c’erano più le condizioni per continuare, per via di divergenze sia nella gestione della band e del repertorio, sia perché qualitativamente non si riusciva a crescere.

E allora in cosa ho sbagliato?

Me lo sto ancora chiedendo. Me lo chiedo di giorno, mentre sono a lavoro o sto facendo qualcos’altro e sono da solo e libero di rimuginare. Me lo chiedo di notte, quando sono a letto e nel silenzio tutto si risveglia dolorosamente e non mi fa prendere sonno.

Tutto è nato come dicevo per divergenze, principalmente con una persona. Gli ho detto con rispetto tutto ciò che dovevo dirgli, più volte nel corso della nostra avventura e più volte ho ricevuto rassicurazioni che le cose sarebbero cambiate. Ma due anni dopo i problemi erano ancora lì, ed ho mollato.

Così all’improvviso mi sono trovato senza la possibilità di fare la cosa che amo di più in assoluto, e smaniavo per rientrare, ma, per farlo, avevo bisogno prima di chiarire la questione con questa persona, e visto che io avevo detto tutto ma lui no, mi aspettavo quanto meno una telefonata nella quale mi dicesse: “Andiamo a prendere un caffè io e te da soli e chiariamo la faccenda”.

Sia chiaro che non volevo delle scuse; nessuno dovrebbe scusarsi per essere fatto in un determinato modo o per avere un determinato carattere. Avevo più che altro bisogno di avere rassicurazioni per una volta sincere sul fatto che le cose dal punto di vista musicale sarebbero davvero cambiate.

Questa telefonata, malauguratamente, non è mai arrivata. Così, e forse questo è stato il mio sbaglio, nonostante le ripetute chiamate degli altri membri del gruppo, mi sono rifiutato di rientrare nella vana speranza che la chiamata arrivasse.

Dopo un paio di mesi dalla mia “dipartita” è stato chiamato un altro musicista al mio posto e la cosa si è risolta. Sono pronto a giurare che pensavo davvero che, per loro, fosse anche meglio in questo modo. Con me presente si poteva suonare solo rock e assolutamente niente di italiano. Adesso, avrebbero potuto anche diventare una cover band di Alessandra Amoroso o Annalisa.

Poi, due o tre giorni fa, il colpo di scena: ricevo la famosa e tanto agognata telefonata.

Ci incontriamo e ci diciamo tutto quello che avevamo in serbo da dirci, ed in due mesi e mezzo di cose da dire se ne accumulano parecchie ma, al contrario di quel che mi aspettassi è stato come non avere mai interrotto il nostro rapporto.

Abbiamo parlato con franchezza, stabilito cosa fare e dove vogliamo andare, ed ho visitato la nuova sala prove privata dove stava provando il resto della band. Andiamo a prendere il famoso ed agognato caffè e… sono tornato in ballo, e anche se oggi purtroppo la band ha subito un’altra defezione e non di poco conto (non so se posso parlarne per rispetto della persona in questione) da qui inizia una nuova storia che spero di poter narrare anche con video e immagini sulle pagine di questo blog.

Dove eravamo rimasti

Da tanto tempo non aggiornavo più questo blog, all’inizio un po’ per mancanza di voglia dopo la morte del mio cane, poi avrei voluto farlo ma me ne è mancato il tempo.

Quando poi ho avuto sia voglia che tempo che argomenti, il Sig. Synology ha deciso che, dopotutto, il supporto che il mio NAS dava all’installazione di WordPress poteva e doveva essere assolutamente e tranquillamente sminchiata da uno dei numerosi updates del software di gestione, tale DSM.

Ad un certo punto con DSM7 mi sono trovato tagliato fuori dal mio stesso sito.

La mia fortuna è stata che lo avessi hostato in locale e avessi accesso in ogni caso a tutti i files della mia installazione, quindi l’impostazione era salva.

Discorso diverso per quanto riguarda il database per il quale ho dovuto risfoderare il fido PhpMyAdmin e tirarlo fuori di forza.

Ho tentato di “riparare” l’installazione ma per quanto facessi ricevevo sempre il solito errore 500, e se fate una breve ricerca sulla rete vi renderete conto che non ero il solo.

Così ho preso il coraggio a quattro mani ed ho tentato di installare wordpress in un container Docker, dove non solo sarebbe stato al sicuro da qualsiasi tentativo del cattivo Sig. Synology di bloccarmi l’accesso, ma sarebbe stato “portabile” in pochi minuti su qualsiasi altra piattaforma sulla quale potesse girare Docker, e cioè praticamente tutte, visto che gira anche sui tamagotchi…

Qui ci va una precisazione.

Per tutto questo devo ringraziare Marius Bogdan Lixandru, un ragazzo romeno che gestisce https://mariushosting.com, un sito che contiene centinaia di guide molto dettagliate per installare praticamente qualsasi cosa sul vostro Synology, ed il canale Discord da lui creato.

Grazie proprio ad una delle sue guide e ai consigli su Discord ho risolto diversi problemi che ho riscontrato nella configurazione del mio container e per questo lo ringrazio.

Ha fatto della sua passione un lavoro e se passate a trovarlo lasciate una donazione, anche di pochi euro, d’altra parte sul suo sito non ci sono pubblicità, non richiede iscrizioni di nessun tipo, non raccoglie i vosti indirizzi IP, e-mail, e non ci sono link referral di Amazon o altri store. Non ci sono pop-up e nemmeno cookies. Cosa volete di più?

Ciò detto, eccoci qui, si riparte, sperando che la voglia stavolta sia qui per restare.

Space

When we were young and still in love
We didn’t care what we were made of
Our eyes were set on a distant sun
It was shimmering gold

Then slowly one by one
We carried our past and cradled the storm
We tried to conceal the scars we wore
‘Cause we couldn’t show what we couldn’t show

I get lost sometimes
With you I am found
I get lost so I’ll follow the light to your heart

Will you wait, will you wait for me?
There’s always a space in my heart
I’m still caught in your gravity
No matter the distance between us
Our joy lives in the moments we share
Love sure is meaningless when you’re not there
Will you wait, will you wait for me?
There’s always a space in my heart for you

And then the silence fell
We bit our tongues, with which we tell
All of our dreams, and the stories we sell
But we didn’t know what we didn’t know

I get lost sometimes
With you I am found
I get lost so I’ll follow the light to your heart

Will you wait, will you wait for me?
There’s always a space in my heart
I’m still caught in your gravity
No matter the distance between us
Our joy lives in the moments we share
Love sure is meaningless when you’re not there
Will you wait, will you wait for me?
There’s always a space in my heart
There’s always a space in my heart
There’s always a space in my heart
Heart

Will you wait, will you wait for me?
There’s always a space in my heart
I’m still caught in your gravity
No matter the distance between us
Our joy lives in the moments we share
Love sure is meaningless when you’re not there
Will you wait, will you wait for me?
There’s always a space in my heart for you

Things left unsaid

E così, te ne sei andato.
Ho pensato a lungo se scriverti o no, come ben sai le mie convinzioni mi impediscono di pensare che ci sia un’altra vita dopo quella terrena. Ho sempre creduto nella vita prima della morte, e che dopo la morte succedono sì tantissime cose, ma che semplicemente non coinvolgono noi.
Allora ho pensato di scriverti come se tu fossi ancora con noi, con tutti i tuoi pregi ma ancor di più con tutti i tuoi difetti, che alla fine sono quelli che rendono una persona quella che è (e questo come ben sai vale anche per chi scrive).
Non vorrei che tu pensassi che voglio parlare di me, ma in un rapporto tra due persone questo è inevitabile perché le vite sono a tal punto intrecciate che giocoforza una condiziona l’altra.
In questi giorni non posso fare a meno di pensare a te. Non sto a dirti che per me sei stato come un padre, perché già lo sai; voglio però che tu sappia che sei stato uno dei più grandi amici che io abbia mai potuto desiderare. Tra le tante persone che conosco sei stato l’unico col quale ho condiviso discorsi su tutti gli argomenti di cui è possibile discutere: filosofia, fisica, matematica, letteratura, biologia, praticamente abbiamo affrontato ogni campo dello scibile seppur con la leggerezza che la nostra “ignoranza” ci imponeva. Come ti piaceva dire, sapevamo poco di tutto e questo è sicuramente meglio dell’opposto.
Parlare con te ha contribuito a migliorarmi come persona, e te ne sono infinitamente riconoscente.
Abbiamo fatto tanti piccoli lavori insieme, e altri ne stavamo programmando; come ho scritto tempo fa su queste stesse pagine, aiutare gli amici fa parte del mio DNA e di conseguenza non potevo non darti una mano quando ne avevo la possibilità. Certo che mi conoscevi bene, sapevi della mia “tigna” e cercavi di non farmi esagerare quando impazzivo dietro a qualcosa che non riuscivo a mettere a posto come volevo o quando volevo fare qualcosa di avventato (chi ha detto “salire sul tetto”?).
Adesso non riesco a capacitarmi di stare a casa tua e non incontrarti, il cervello sa che non ci sei ma gli occhi istintivamente ti cercano ovunque.
Non lo nego, il dolore è tanto, anche per un freddo razionalista come me. Cerco vigliaccamente di evitare di dimostrarlo, è vero, perché mi rendo conto che per quanto io sia addolorato, la sofferenza delle tue figlie e di tua moglie non può neanche lontanamente competere con la mia.
Ma è davvero quantificabile il dolore? La sofferenza? Sicuramente sarebbe stato un altro dei nostri interessanti argomenti di discussione…
Il problema con il dolore è che rimane spesso latente per ore o giorni e poi arriva come un colpo di frusta per una piccola cosa, una foto, un vecchio messaggio sul cellulare, un libro di cui abbiamo parlato.
Quante cose avevamo ancora da dirci? Quanti buoni consigli avevi ancora da darmi? Libri da scambiare? E poi le nostre “lucette” che chi non ama la tecnologia come noi non riesce ad apprezzare…
Proprio poco fa Cristiana mi parlava dei tuoi messaggi su WhatsApp e Telegram, senza sapere che io già da giorni avevo salvato tutte le nostre conversazioni per custodirle gelosamente.
Cerchiamo di salvare il più possibile del nostro piccolo mondo, perché sappiamo che alla fine tutto quello che rimarrà saranno dei ricordi ed è fondamentale che non sbiadiscano mai.
Ora ti saluto e ti auguro buon viaggio, ovunque tu stia andando. So che mi hai voluto bene; te ne ho voluto anch’io, e questo nessuno potrà mai portarmelo via.

Tuo figlio, Luca.

Louder than words

Quando ho deciso di mettere in piedi questo blog, è stato solo per fare esperienza nella gestione di un webserver, e non mi aspettavo certo di avere anche dei lettori. Non l’ho mai pubblicizzato, e a parte il post automatico su Twitter (dove del resto non è che abbia molti followers), ogni qual volta pubblico un nuovo articolo, in pochi sanno che esiste. E non mi interessa proprio averne di più, non ho mai capito quelli che si affannano per accumulare compulsivamente followers, come se servisse ad avere più prestigio o gliene venisse in tasca qualcosa. In buona sostanza, io scrivo solo per me stesso. E’ un modo per concentrarmi su un evento o un pensiero e ragionarci su finché non lo comprendo appieno, oppure per esternare delle sensazioni o dei sentimenti che non saprei tirare fuori in altro modo.
Non sono mai stato bravo a farlo.
Ora che ci penso potrebbe anche essere un modo per farsi conoscere meglio, in una società dove conta solo l’apparenza ed anche persone che magari si conoscono da anni fanno fatica ad apprezzare le varie sfaccettature del carattere altrui.
Lo ammetto, non ho un carattere facile. Forse anche per questo faccio amicizia con molta difficoltà, e riesco a considerare amiche le persone solo dopo una lunga conoscenza. Un amico può chiedermi qualunque cosa, in genere mi faccio in quattro per aiutare. E’ nel mio DNA, anche mio padre è così, magari lascio stare cose personali anche più importanti per aiutare un amico in difficoltà, specie se si tratta di aggiustare qualcosa. Adoro riparare le cose. Riparo di tutto, o almeno ci provo. In genere ci riesco. Quello che non sono in grado di riparare sono le cose importanti: i rapporti personali, ad esempio. Sempre per via di questo caratteraccio che mi ritrovo. Per fortuna il gruppo ristretto di amici che ho lo sa e si comporta di conseguenza.
Non vorrei che si pensasse che sono un misantropo: la compagnia mi piace. Sono solo molto selettivo. Mi piace andare a cena fuori con gli amici e a volte anche far venire tutti a casa mia per mangiare qualcosa in genere molto dannoso e calorico cucinato da me.
Alla fine della fiera vi starete chiedendo dove voglio andare a parare, ed in effetti questo post è solo per ringraziare pubblicamente i miei amici. Per essermi amici e per permettermi di essere loro amico.
Ricevo molto di più di quello che do’ e forse non lo merito. Ed anche se tra amici quasi sempre i ringraziamenti sono superflui, voglio dedicare loro questa poesia di Alberto Cortez.

Ai miei amici devo la tenerezza
e le parole di sostegno e l’abbraccio,
il condividere con tutti loro il prezzo
che ci presenta la vita ogni giorno.

Agli amici devo la pazienza
di sopportare le spine più appuntite
gli sbalzi d’umore
la negligenza, le vanità
le paure e i dubbi.

Una barca fragile di carta
sembra a volte l’amicizia
ma non ce la farà mai
la tempesta più violenta
perché quella barca di carta
ha afferrato al suo timone
come capitano e timoniere
un cuore, un cuore, il mio cuore.

A new machine

La prima volta che ho sentito parlare di Linux (il cui nome esatto sarebbe GNU/Linux, ma tant’è), il sistema operativo più avanzato al mondo si chiamava OS/2, ed Internet era ancora una entità sconosciuta alla maggior parte degli italioti e comunque ancora di là dal divenire sinonimo di Google prima e di Facebook poi.

Correva l’anno 1994 quando, sul mio PC con OS/2 Warp 3 faticosamente installato da una scatola di ben 51 floppy disk da 1,44Mb, provai la prima distribuzione: Slackware, curata da Patrick Volkerding.

Inutile dire che l’approccio fu meno che soddisfacente: i server grafici erano ancora, per essere generosi, molto limitati ed il 99% della configurazione del sistema doveva avvenire tramite il terminale. A questo aggiungiamo che non esisteva ancora un Google cui chiedere aiuto e se non conoscevi i vari comandi eri solo, abbandonato al tuo destino.

Ho rinunciato, ma con la promessa fatta a me stesso di riprovarci quando i tempi si fossero fatti più maturi. Promessa mantenuta, e a più riprese. Ho provato varie distribuzioni (Mandrake e Red Hat su tutte) ma non mi sono mai sentito pronto a fare lo switch, secondo me Linux non era ancora idoneo a diventare un sistema consumer ed onestamente non mi sentivo pronto neanche io.

Però fare tutte quelle prove mi è servito. Sono passato dalla paura di fare un semplice cat ad usare dpkg e apt, e poi ad usare i vari chmod e chown, collegarmi ad altre macchine via ssh e copiare file via rete con scp, scrivere da solo qualche script bash. Devo dire che usare abitualmente un Mac con il suo sottosistema BSD mi ha aiutato non poco a prendere dimestichezza con la filosofia *nix. La svolta vera però c’è stata con l’acquisto del mio primo Raspberry Pi, sul quale girava anche questo sito e che ora è in attesa di diventare il cuore di un cabinet per giochi arcade anni ’80.

Ora il webserver gira su un Raspberry Pi2, quad-core e con 1 Gb di RAM ed il fatto di dover installare, configurare, ottimizzare, tutto da zero mi ha fatto rendere conto che, alla fine, se un sistema è pronto per me, tanto basta. Non mi faccio più tanti problemi ad usare il terminale, anzi quasi lo preferisco. Le mie prime esperienze informatiche sono state con un Commodore VIC-20, e poi Commodore 64 e ZX Spectrum (non ho mai capito perché preferire l’uno all’altro, erano due ottimi computer) quando o usavi la tastiera o erano pezzi di plastica inutili.

Qualche tempo fa, poi, un amico mi ha regalato un suo portatile dismesso ma ancora funzionante, di “penultima” generazione, ed ho deciso di provare a vedere se un PC Linux poteva sostituire senza problemi il mio iMac (che ormai ha sei anni e si avvia verso l’obsolescenza), così ho fatto una lista delle applicazioni installate ed ho cercato le equivalenti per Linux. Ho scelto una distribuzione che derivasse da Debian, che ritengo la migliore in assoluto ma poco votata ad un utilizzo desktop, e la scelta è caduta su Linux Mint. Installato, ha riconosciuto automaticamente tutte le periferiche (scheda video, rete, wifi) ed in pochi minuti ho avuto in mano un sistema funzionante e molto performante rispetto alla versione di Windows che era installata fino a poco prima.

Le applicazioni si comportano in modo egregio, ma devo ammettere che graficamente l’impatto è abbastanza brusco perché possiamo trovargli tutti i difetti ed i bugs che vogliamo, ma OS X è *BELLO*. Credo che si dovranno fare dei grossi passi in avanti per migliorare l’aspetto delle varie distribuzioni Linux se si vorrà trovare qualcuno anche solo disposto a provarlo perché, si sa, anche l’occhio vuole la sua parte. Anche la frammentazione, con millemila distribuzioni disponibili, non aiuta, e l’utente medio si sente perso e nell’impossibilità di fare una scelta. C’è anche un altra cosa di cui tenere conto, e non è meno importante. I Mac sono SILENZIOSI. Con lo schermo in standby non si riesce a capire se il mio iMac è acceso o spento mentre anche il PC più silenzioso ha almeno due ventole che fanno parecchio rumore (certo, a meno di spendere 100€ per una ventola…).

Parlando del lato economico se si prova a configurare sul sito Apple un iMac 4K al massimo della configurazione la cifra si avvicina ai 4000€. Un PC di pari configurazione costa intorno ai 1500€ e spendendo 100€ in più si può avere un sistema abbastanza silenzioso, mi pare una differenza mostruosa se si considera che se si guasta un componente in un iMac o si va alla Apple o si butta, mentre in un PC si sostituiscono ed AGGIORNANO componenti a piacimento.

Inoltre su un PC posso installare anche tre o quattro sistemi operativi diversi, ed uno di questi perdendo un po’ di tempo ed avendo mooooolta pazienza può essere anche OS X, mentre su Mac posso installare solo Windows e solo la versione supportata dai driver Apple…

Detto quanto sopra, il verdetto è il seguente: lunga vita al mio iMac! Spero che duri il più a lungo possibile e nel frattempo continuerò ad usare e fare pratica con Linux sul portatile, ma è sicuro che a prendere il posto del mio iMac sarà un PC perché non è più giustificabile la spesa di un Mac soltanto per un bel design dell’hardware ed un sistema operativo bello da vedersi se poi il tutto non si riflette anche sulle prestazioni o la dotazione software.

The Electric Co.

Non vorrei che questo piccolo blog diventasse una succursale di una qualsiasi associazione di consumatori, ma a volte succedono delle cose che vale la pena di far sapere a tutti, come è stato per gli addebiti di Tre per i falsi abbonamenti.

Nella fattispecie, oggi vorrei parlare di ACEA, società di proprietà del Comune di Roma (cosa che già di per sé non è una garanzia di solerzia e precisione) che allunga i suoi tentacoli su un po’ tutte quelle cose indispensabili per vivere in una società civile. Acqua, gas ed energia elettrica.

Partiamo dall’acqua. Sono DUE ANNI che invio regolarmente ogni due mesi circa un fax corredato da fotocopia del mio documento di identità con la richiesta di attivazione del RID bancario per non dover spendere due euro ad ogni bolletta che arriva. RID bancario, tengo a precisare, che ho attivato quando ho fatto il contratto, e che è stato annullato (DA ACEA) quando si sono migrati i RID nel sistema SEPA.
Attualmente, dopo ben due anni, ancora non è dato sapere perché questo RID non venga attivato. Ripetute chiamate al call center servono solo ad ascoltare operatori che a precisa domanda rispondono “Antani come trazione per due anche se fosse supercazzola bitumata, ha lo scappellamento a destra per via del tarapìa tapìoco”.
L’unica soluzione sarebbe di andare a perdere un giorno di vita e recarmi presso quella sorta di girone dantesco che è la sede ACEA di Piazzale Ostiense. Onestamente, preferirei il seppuku.

Ma se già questa situazione sembra assurda, aspettate di sentire cosa mi è capitato con il ramo energia di ACEA, dall’altisonante ed originale nome di AceaEnergia.

Ho ricevuto regolarmente le loro bollette di Luce&Gas fino ad Ottobre 2014 quando inspiegabilmente a Dicembre l’attesa bolletta per l’energia elettrica non mi viene recapitata. Non risulta nemmeno sul loro sito. Non è stata proprio emessa.
Aspetto qualche giorno, poi a Gennaio chiamo il loro call-center. Spiego la situazione e mi dicono che faranno un sollecito. Mi ritengo soddisfatto e la chiudo lì. A Marzo non si vedono ancora bollette. Richiamo e mi viene spiegato che si è bloccata la fatturazione. Bè, sblocchiamola, dico io. Mi dicono che se ne occuperanno loro e chiudiamo la chiamata. Siamo a Giugno e tutto tace. Richiamo. Ci sono problemi, posso per favore inviare la lettura del contatore? Certo che posso ma cazzo siamo nel 2015 ed il contatore potete leggerlo anche da remoto, siamo seri. Comunque lo faccio e mi dicono di attendere.
Io, per attendere, attendo, ma continuo a non ricevere bollette ed i KWh sul contatore continuano a correre. A Settembre (facciamogli fare almeno le ferie in pace, lavorano tanto poverini!) chiamo di nuovo. Ancora bloccato. Faranno il sollecito del sollecito e a breve risolveremo. Abbozziamo e tiriamo avanti. Siccome l’ho già tirata troppo per le lunghe facciamo che saltiamo a piedi pari altre due telefonate ed arriviamo a Giugno 2015, quando mi viene recapitata una bolletta di 1550€.

Non so voi ma io prendo poco di più di quella cifra ogni mese e per arrivarci lavoro sabati, domeniche, festivi e di notte. Quindi (indovinate) chiamo il call center e chiedo di rateizzare la bolletta. Nessun problema, mi dicono, ma devo aspettare che scada e poi richiamarli per la rateizzazione. La bolletta scade il 13 Luglio, il 28 o il 29 Luglio (non ricordo con precisione) li richiamo e mi danno le istruzioni: invia raccomandata a/r a Piazzale Ostiense con i dati della bolletta e ti arriva a casa il piano di rientro. Tutto bene me pare, no?

No. A fine Agosto parto per le ferie e questo fantomatico piano di rientro non è ancora arrivato. In compenso, però, mentre sono in vacanza, a casa mia arriva una raccomandata di preavviso di distacco dell’energia elettrica. Me la faccio inviare via fax e con quella davanti (ri)chiamo il call center. Siamo al 3 Settembre. L’operatrice mi dice che la richiesta di rateizzazione è arrivata, che è in lavorazione, che non era necessaria la raccomandata ma bastava un fax (e via altri 5 euro buttati) e mi garantisce che non ci sarà alcun distacco ma solleciterà l’invio del piano di rientro.

A metà settembre torno a Roma bello tranquillo e ricomincio il tran-tran quotidiano. Il 5 Ottobre mi staccano la corrente. Chiamo di nuovo i cerebrolesi di ACEA e mi dicono che “la rateizzazione è stata rifiutata IL 25 AGOSTO perché richiesta quando erano trascorsi più di dieci (10) giorni dalla scadenza della bolletta”. Se rivoglio la corrente devo pagare subito 1550€. Ora, l’ultima volta che ho guardato fuori non ho visto soldi crescere sui rami degli alberi, così mi sono rivolto all’unica persona che poteva aiutarmi, mio padre. Senza dire né a né ba ha fatto un bonifico dal suo conto (non naviga nell’oro) e pagato la bolletta, inviando la ricevuta ad ACEA, che il giorno dopo ha effettuato il riallaccio.

Di tutto questo che affermo, cara ACEA, ho documentazione scritta. Anche il numero dell’operatore con cui di volta in volta ho parlato.

Per fortuna, qui non siamo nella vigna dei coglioni. Mio padre ha 11KW e con 3 metri di cavo mi ha dato corrente per 24 ore. Ma cosa sarebbe successo ad un’altra persona? Pensate solo al cibo nel freezer. Pensate a chi vive collegato ad un macchinario o per entrare e uscire usa un montascale elettrico. A chi ha una delle nuove linee telefoniche VoIP e si ritrova ANCHE senza telefono. A chi ha bambini e/o anziani e non ha modo neanche di lavarsi perché le caldaie a gas usano comunque l’energia elettrica. Pensate a casa vostra, 24 ore senza corrente.

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere ma questi sono i fatti. Ora mi e vi chiedo le seguenti cose:

1. Perché a Giugno 2015 non mi è stato detto che dovevo chiamare per la rateizzazione entro un termine di tot giorni?

2. Perché il 28/29 Luglio non mi è stato subito detto che ero oltre i termini della richiesta anzi mi si è fatta spedire una raccomandata aggiungendo altri soldi alla spesa?

3. Perché il 3 Settembre non mi è stato subito detto che la mia richiesta era stata bocciata in modo da tutelarmi per tempo ed evitare il distacco?

4. Perché invece di RIDURRE la potenza al 15% del nominale (nel mio caso poco meno di 700W) come previsto dalle vigenti norme di legge si è provveduto al distacco totale lasciando una famiglia con due bambini nell’isolamento totale?

ma soprattutto mi chiedo:

5. Perché per un disguido causato da AceaEnergia stessa (il blocco della fatturazione) che anzi io mi sono prodigato per far risolvere, e per l’incompetenza dei loro operatori di call center, adesso mi toccherà pagare anche oltre 130€ di spese per distacco e riallaccio.

La verità è che viviamo in un paese senza regole certe e senza nessuna difesa. Non siamo in grado di tutelarci da questi sciacalli, siamo carne da macello ed a chi ci governa non frega niente di noi. Basta guardarli durante le sedute in parlamento. Si capisce che noi nella loro testa proprio non ci siamo, quello che conta è solo il proprio tornaconto. Sono davvero schifato di questa situazione, ho dubitato a lungo se scrivere o no questo articolo ma alla fine ho deciso che ne valeva la pena, magari qualcuno lo leggerà e trovandosi nella stessa situazione si comporterà diversamente. Dal canto mio, ho già fatto richiesta di passaggio ad altro fornitore per luce e gas, non voglio avere più niente a che fare con AceaEnergia, anche se mi toccherà tenermela per l’acqua visto che agisce in regime di monopolio e per questo si permette di fare quello che vuole sulle spalle degli utenti. Potendo, preferirei bere l’acqua del pozzo piuttosto che dare anche un solo euro a loro.

Alla prossima.